giovedì 26 marzo 2020

Ruberie, donazioni e lasciti.

Non sono un ragioniere e tantomeno un economista, però sin da giovane sono sempre stato molto bravo a fare la sommatoria tra le entrate e le uscite, dal mio portafoglio e da quello che gli italiani mettono in mano ai ministri e alla Pubblica Amministrazione.

Dopo il diploma, cominciai a camminare subito con le mie gambe. Ma, dopo un periodo di lavoro all'estero, in Italia con mio padre e come operaio alle dipendenze di una ditta di impianti telefonici, iniziai a pedalare con una 500 usata e a spingerla, quando sulla SS 90 bis non passava nemmeno un camionista per farmi rimorchiare.

Stanco, spossato e distrutto dagli sforzi e dalle spese di aggiustaggio, piazzai il coccio a metà prezzo e acquistai, naturalmente a rate, una R4 nuova e un portapacchi lunghissimo, collaudato per superare la salita di Arpaia e portare 3 colonne frigo, 2 reti e 2 materassi matrimoniali per 100 Km, da Napoli a Casalbore.

Appena misi da parte un po' di soldi, mi sposai, perdemmo la prima biondina, ne guadagnammo due abbronzatissime e finalmente permutai la R4 con un Ducato grande volume, con il quale non solo alleggerimmo il nostro lavoro e incrementammo le vendite, ma abbiamo risparmiato tanti soldi per le spese di trasporto, per la pubblicità e per le vacanze domenicali con gli amici.


Più avanti, spesi tutti i miei risparmi, più 20 milioni di vecchie lire prese naturalmente a debito, per costruire una casa e un modesto magazzino, che ho adibito per tenere dignitosamente in vita l'attività produttiva di mio padre e per non pagare più fitti.

Dopo 14 anni di doppio, triplo lavoro, nonché di calli alle mani e di marroni al culo, ho finito per costruirne una seconda casa molto più grossa della prima, senza prendere nemmeno una lira in prestito dalle banche.

Detto questo, penso che uno Stato, dopo 30 anni di spese sproporzionate, di assunzioni pazze e di privatizzazioni vuoto e contenuti a perdere, non può più pagare con i nostri risparmi postali i debiti accesi dal 1990 ad oggi, tartassando di tasse e di imposte chi produce reddito, lavorando anche di notte per pagare le tasse sui magazzini, sui capannoni e sui fabbricati, derubati pure di una via d'a cesso per sotterrare le partite IVA al camposanto.

Uno Stato previdente dovrebbe alleggerire la pressione fiscale, incentivare chi demolisce il vecchio e ricostruisce, chi investe e rischia di tasca sua. Uno Stato giusto dovrebbe semplificare, sburocratizzare, eliminare le spese improduttive, sopprimere un ramo del parlamento senza ridurre il numero dei parlamentari, ridurre drasticamente le regioni e il numero dei consiglieri, far funzionare la giustizia penale, civile e amministrativa, eliminare le province e distribuire il ricavato ai comuni. Inoltre, in un lasso di tempo massimo di 15 anni, dovrebbe togliere le concessioni per le autostrade, l'energia, l'acqua, la mobilità e la spazzatura. 

Infine, andrebbero inasprite le sofferenze per tutti i dipendenti dello Stato che rubano e sperperano danaro pubblico, ad esempio con la decapitazione delle dita.

Tutti i politici, i magistrati, i dipendenti statali e gli amministratori locali  avvezzi alle menzogne, alle panzane e al gioco delle balle andrebbero invece puniti con l'estrazione graduale dei canini, degli incisivi o, se recidivi, con la cucitura della lingua sul palato.

Tanto dovevo dire, ho svaporato e che Dio sia Laudato.
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